Modifica agli articoli 41, 117 e 119 della Costituzione italiana per la promozione di uno sviluppo economico sostenibile

  • Pubblicato il 30 Aprile 2020
  • da IIS Eliano-Luzzatti, Palestrina (Roma)
Modifica agli articoli 41, 117 e 119 della Costituzione italiana per la promozione di uno sviluppo economico sostenibile

Onorevoli Senatori! - L’emergenza climatica in corso, gli impegni assunti a livello comunitario ed anche internazionale con la sottoscrizione il 25 settembre del 2015 della risoluzione ONU: Trasformare il nostro mondo – L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e, nel dicembre dello stesso anno, con la Conferenza sul Clima di Parigi (COP21), le richieste dei movimenti giovanili per l’ambiente sempre più attivi anche sul nostro territorio, pongono la politica davanti a grandi responsabilità. Ci obbligano a scelte, ormai non più rimandabili, che abbiano a cuore la cura del nostro Paese e del nostro Pianeta. In particolare, si tratta di orientare, ora, il nostro modello di sviluppo, verso la sostenibilità, ovvero verso quel modello che, come definito nel Rapporto Brundtland del 1987, “… risponde alle necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie necessità".
Sostenibilità che deve declinarsi nelle sue tre componenti:
-    Economica, per cui la consapevolezza dell’impatto delle nostre scelte economiche deve spingerci verso modelli che garantiscano l’uso efficiente e razionale delle risorse,
-    Sociale, per cui è necessario assicurare opportunità pari e giustamente distribuite, non solo alle generazioni presenti, ma anche a quelle future,
-    Ambientale per cui le nostre decisioni e le nostre attività devono tener conto del delicato equilibrio della natura e della non illimitatezza delle sue risorse.
Insomma, per valutare l’opportunità o meno delle scelte economiche per il nostro Paese, non possiamo più limitarci a valutare solo la loro incidenza sulla crescita o sul Prodotto Interno Lordo, ma risulta urgente considerare il loro impatto in tema di equità tra le generazioni, di efficacia redistributiva personale, funzionale e territoriale, di giustizia sociale e di mantenimento dell’equilibrio dell’ecosistema.
Si impone un veloce cambiamento in virtù del quale lo sfruttamento delle risorse, lo sviluppo tecno-logico, l’indirizzo degli investimenti abbiano come obiettivo uno sviluppo che duri nel tempo tenendo in considerazione, non solo i bisogni attuali, ma anche i bisogni futuri di tutti, pianeta compreso
E le nostre decisioni politiche devono andare, ORA, in questo senso!
Dobbiamo indirizzarle verso un nuovo modello di sviluppo che si sostituisca al tradizionale modello lineare caratterizzato dalle fasi: produzione-consumo-smaltimento, per cui ogni bene prodotto, insieme ai fattori impiegati, è destinato, dopo il suo utilizzo, a divenire rifiuto, peraltro spesso inquinante.
Questo non possiamo più permettercelo!
Urge la scelta del modello circolare che, come indicato anche dalla Commissione Europea, propone "un´economia in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse viene mantenuto il più a lungo possibile e la produzione di rifiuti è ridotta al minimo".
Sappiamo che la fonte principale del nostro diritto, la nostra Costituzione, non fa alcun espresso riferimento al problema ambientale.
Del resto, tale problema era pressoché inesistente all’epoca della sua stesura!
Sappiamo anche che, nel corso degli anni, a seguito di importanti interventi di giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale, il concetto di paesaggio - di cui parla l’art 9 Cost. che ne affida la tutela alla Repubblica - è stato identificato con l’ambiente.
Solo Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recanti “Modifiche al Titolo V della Parte Seconda della Costituzione”, ha introdotto il termine “ambiente” nell’art. 117 della Costituzione, affidandone la tutela alla legislazione esclusiva dello Stato.
A noi spetta, oggi, il compito di inserire espressamente il principio della sostenibilità dello sviluppo nella nostra Costituzione, nella Parte Prima, Titolo III, in cui viene delineato il profilo dei nostri “Rapporti economici”.
In particolare, all’interno dell’art. 41, laddove il secondo comma subordina l’economia ed il profitto a valori fondanti della nostra comunità quali l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana, aggiungere il valore della sostenibilità ci sembra quanto mai necessario ed urgente.
Oltre a costituzionalizzare un principio già presente in ambiti sovranazionali, europei e mondiali, l'introduzione del principio della sostenibilità dello sviluppo economico nella nostra Costituzione, che, sappiamo, ha anche carattere programmatico ed è cogente per il legislatore ordinario, meglio garantirebbe l'incremento e la messa a sistema di buone e corrette pratiche per le nostre attività produttive.
Pratiche che dovranno costituire sempre più patrimonio vivo della nostra società e basi di un nuovo patto tra i soggetti economici, imprese e consumatori, attraverso le generazioni, per il progresso e la crescita del Paese.
Con il presente disegno di legge, che interviene sugli articoli 41, 117 e 119 della Costituzione, si chiede al Parlamento un importante passo in questa direzione.
Considerata la rilevanza del tema trattato, si auspica un celere avvio dell’iter del seguente.

Art. 1

L’articolo 41 della Costituzione è sostituito dal seguente:
“Art. 41. – L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e deve mirare allo sviluppo sostenibile del Paese.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

Art. 2

All’art. 117 della Costituzione è apportata la seguente modifica:
al terzo comma, l’espressione “ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione” è sostituita dalla seguente: “ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione e alla sostenibilità”.

Art. 3

All’art. 119 della Costituzione è apportata la seguente modifica:
al sesto comma, l’espressione “Per promuovere lo sviluppo economico,” è sostituita dalla seguente: “Per promuovere lo sviluppo economico sostenibile,”. 

il 15/05/2020
R. C. - Palestrina (RM)
ha proposto il seguente emendamento:
R.C. PALESTRINA (RM)
Emendamento soppressivo di parole e, conseguentemente, aggiuntivo di parole:
All'art.1, comma 2, sopprimere le parole da "e deve mirare" a "del Paese".
Conseguentemente, al comma 3, in fine, dopo le parole "a fini sociali" aggiungere "e allo sviluppo sostenibile del Paese".
Approvato
  • Voti totali: 14
  • Favorevoli: 8
  • Contrari: 2
  • Astenuti: 4
il 16/05/2020
E. D. - Palestrina (RM)
ha proposto il seguente emendamento:
Emendamento sostitutivo di parole:
All’articolo 1, comma 2, sostituire le parole :
<< deve mirare allo sviluppo sostenibile del Paese.>> con le seguenti: << alla sostenibilità ambientale. >>
Approvato
  • Voti totali: 14
  • Favorevoli: 8
  • Contrari: 4
  • Astenuti: 2
il 16/05/2020
A. F. - Palestrina (RM)
ha proposto il seguente emendamento:
Emendamento aggiuntivo di parole:
All’articolo 3, dopo le parole: <<lo sviluppo economico>> inserire le seguenti <<equo e sostenibile.>>
Approvato
  • Voti totali: 15
  • Favorevoli: 11
  • Contrari: 2
  • Astenuti: 2

Onorevoli Senatori! - L’emergenza climatica in corso, gli impegni assunti a livello comunitario ed anche internazionale con la sottoscrizione il 25 settembre del 2015 della risoluzione ONU: Trasformare il nostro mondo – L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e, nel dicembre dello stesso anno, con la Conferenza sul Clima di Parigi (COP21), le richieste dei movimenti giovanili per l’ambiente sempre più attivi anche sul nostro territorio, pongono la politica davanti a grandi responsabilità. Ci obbligano a scelte, ormai non più rimandabili, che abbiano a cuore la cura del nostro Paese e del nostro Pianeta. In particolare, si tratta di orientare, ora, il nostro modello di sviluppo, verso la sostenibilità, ovvero verso quel modello che, come definito nel Rapporto Brundtland del 1987, “… risponde alle necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie necessità".
Sostenibilità che deve declinarsi nelle sue tre componenti:
-    Economica, per cui la consapevolezza dell’impatto delle nostre scelte economiche deve spingerci verso modelli che garantiscano l’uso efficiente e razionale delle risorse,
-    Sociale, per cui è necessario assicurare opportunità pari e giustamente distribuite, non solo alle generazioni presenti, ma anche a quelle future,
-    Ambientale per cui le nostre decisioni e le nostre attività devono tener conto del delicato equilibrio della natura e della non illimitatezza delle sue risorse.
Insomma, per valutare l’opportunità o meno delle scelte economiche per il nostro Paese, non possiamo più limitarci a valutare solo la loro incidenza sulla crescita o sul Prodotto Interno Lordo, ma risulta urgente considerare il loro impatto in tema di equità tra le generazioni, di efficacia redistributiva personale, funzionale e territoriale, di giustizia sociale e di mantenimento dell’equilibrio dell’ecosistema.
Si impone un veloce cambiamento in virtù del quale lo sfruttamento delle risorse, lo sviluppo tecno-logico, l’indirizzo degli investimenti abbiano come obiettivo uno sviluppo che duri nel tempo tenendo in considerazione, non solo i bisogni attuali, ma anche i bisogni futuri di tutti, pianeta compreso
E le nostre decisioni politiche devono andare, ORA, in questo senso!
Dobbiamo indirizzarle verso un nuovo modello di sviluppo che si sostituisca al tradizionale modello lineare caratterizzato dalle fasi: produzione-consumo-smaltimento, per cui ogni bene prodotto, insieme ai fattori impiegati, è destinato, dopo il suo utilizzo, a divenire rifiuto, peraltro spesso inquinante.
Questo non possiamo più permettercelo!
Urge la scelta del modello circolare che, come indicato anche dalla Commissione Europea, propone "un´economia in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse viene mantenuto il più a lungo possibile e la produzione di rifiuti è ridotta al minimo".
Sappiamo che la fonte principale del nostro diritto, la nostra Costituzione, non fa alcun espresso riferimento al problema ambientale.
Del resto, tale problema era pressoché inesistente all’epoca della sua stesura!
Sappiamo anche che, nel corso degli anni, a seguito di importanti interventi di giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale, il concetto di paesaggio - di cui parla l’art 9 Cost. che ne affida la tutela alla Repubblica - è stato identificato con l’ambiente.
Solo Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recanti “Modifiche al Titolo V della Parte Seconda della Costituzione”, ha introdotto il termine “ambiente” nell’art. 117 della Costituzione, affidandone la tutela alla legislazione esclusiva dello Stato.
A noi spetta, oggi, il compito di inserire espressamente il principio della sostenibilità dello sviluppo nella nostra Costituzione, nella Parte Prima, Titolo III, in cui viene delineato il profilo dei nostri “Rapporti economici”.
In particolare, all’interno dell’art. 41, laddove il secondo comma subordina l’economia ed il profitto a valori fondanti della nostra comunità quali l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana, aggiungere il valore della sostenibilità ci sembra quanto mai necessario ed urgente.
Oltre a costituzionalizzare un principio già presente in ambiti sovranazionali, europei e mondiali, l'introduzione del principio della sostenibilità dello sviluppo economico nella nostra Costituzione, che, sappiamo, ha anche carattere programmatico ed è cogente per il legislatore ordinario, meglio garantirebbe l'incremento e la messa a sistema di buone e corrette pratiche per le nostre attività produttive.
Pratiche che dovranno costituire sempre più patrimonio vivo della nostra società e basi di un nuovo patto tra i soggetti economici, imprese e consumatori, attraverso le generazioni, per il progresso e la crescita del Paese.
Con il presente disegno di legge, che interviene sugli articoli 41, 117 e 119 della Costituzione, si chiede al Parlamento un importante passo in questa direzione.
Considerata la rilevanza del tema trattato, si auspica un celere avvio dell’iter del seguente.

Art. 1

L’articolo 41 della Costituzione è sostituito dal seguente:
“Art. 41. – L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e alla sostenibilità ambientale.

Art. 2

All’art. 117 della Costituzione è apportata la seguente modifica:
al terzo comma, l’espressione “ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione” è sostituita dalla seguente: “ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione e alla sostenibilità”.

Art. 3

All’art. 119 della Costituzione è apportata la seguente modifica:
al sesto comma, l’espressione “Per promuovere lo sviluppo economico,” è sostituita dalla seguente: “Per promuovere lo sviluppo economico equo e sostenibile,”.

Approfondimento

Approfondimento normativo

Il nostro lavoro di approfondimento normativo si è soffermato su due aspetti diversi: le regole costituzionali in materia di economia e la tutela dell’ambiente nella nostra legislazione.
Consapevoli dell’emergenza climatica in corso e convinti della necessità urgente di perseguire scelte economiche sostenibili, abbiamo affrontato questi due argomenti combinandoli tra di loro.
Riguardo al primo aspetto, siamo partiti dall’analisi del Titolo III della Parte Prima della nostra Carta Costituzionale dedicato ai “Rapporti economici”.
È questa la c.d. Costituzione Economica che, dall’articolo 35 all’articolo 47, delinea il profilo del nostro Paese dal punto di vista economico
Le disposizioni in materia, seppur numerose e combinate tra di loro, affrontano tre temi fondamentali:
-    la tutela del lavoro e la libertà sindacale,
-    il riconoscimento, i limiti e la funzione sociale della proprietà,
-    la struttura mista del nostro sistema economico.
E proprio su quest’ultimo tema ci siamo soffermati, analizzando in particolare l’art. 41 che così recita:
“L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi ei controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”
Dalla lettura emerge, in primo luogo, che il nostro è un sistema ad economia mista: accanto all’iniziativa economica privata libera, è previsto l’intervento dello Stato che può sia svolgere direttamente attività di impresa, agendo quindi come autonomo soggetto economico, sia intervenire nel disciplinare l’attività economica privata.
I due settori imprenditoriali pubblico e privato, dunque, coesistono all’interno del nostro sistema.
Il secondo comma, poi, pone i valori dell’utilità sociale, della sicurezza, della libertà e della dignità umana al di sopra del profitto. L’uomo, inteso come lavoratore inserito nel ciclo produttivo, ma anche come consumatore, destinatario del prodotto finito, non è da considerarsi subordinato all’economia, ma quest’ultima e le sue leggi incontrano il limite del rispetto dell’individuo.
Dal terzo comma, infine, deriva il principio della programmazione economica che assegna allo Stato, attraverso lo strumento legislativo, il compito di coordinare i due settori imprenditoriali, privato e pubblico, verso finalità sociali, con la possibilità di favorire o scoraggiare investimenti a seconda che abbiano o meno quella finalità.
Nel corso della nostra storia economica lo strumento della programmazione è stato utilizzato, in modo più o meno intenso, per risolvere particolari problemi, come la crisi di un certo settore produttivo, o per incentivare specifiche attività pubbliche, ad esempio per la realizzazione di grandi infrastrutture o per favorire la ripresa di zone fragili del Paese.
Per l’approfondimento sulla tutela dell’ambiente siamo ugualmente partiti dalla Costituzione. Nonostante nella sua stesura originaria questa non faccia alcun riferimento all’ambiente (il problema ambientale era pressoché inesistente all’epoca della sua approvazione!), tra i suoi Principi fondamentali l’art. 9, al secondo comma, affida alla Repubblica il compito di tutelare il paesaggio.
E quest’ultimo termine, per importanti interventi della giurisprudenza, anche costituzionale, e della dottrina, ha assunto nel tempo un significato più ampio, identificandosi oggi con l’ambiente.
Solo nel 2001, la Legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre, recanti “Modifiche al Titolo V della Parte Seconda della Costituzione”, ha introdotto il termine ambiente in Costituzione, nel punto in cui ne affida la tutela, insieme a quella dell’ecosistema, alla legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, 2 co., lett. S).
Già in precedenza, tuttavia, anche a seguito delle prime direttive europee e di una sempre più pres-sante richiesta dell’opinione pubblica per una corretta gestione del territorio e dell’ambiente, la Leg-ge 8 luglio 1986 n. 349, istituì quello che oggi è il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territo-rio e del Mare (MATTM).
Si tratta dell’organo di Governo cui è affidato il compito di attuare la politica ambientale svolgendo, tra l’altro, funzioni di tutela degli ecosistemi, di salvaguardia del territorio e delle acque, di politiche di contrasto al cambiamento climatico e al surriscaldamento globale, di sviluppo sostenibile e promo-zione delle buone pratiche ambientali.
Venti anni dopo viene emanato il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia am-bientale” che si pone “…come obiettivo primario la promozione dei livelli di qualità della vita uma-na, da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali” (art 2, comma 1).
Tale decreto e le successive modifiche, nei suoi 52 articoli riorganizza l’intera disciplina, regolando in particolare la difesa del suolo, delle acque e dell’aria e la gestione dei rifiuti e dedicando una inte-ra parte alla tutela risarcitoria contro i danni ambientali.
A livello comunitario, a seguito delle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona del 2009, il Tratta-to sul Funzionamento dell’Unione Europea (T.F.U.E.), nel Titolo XX Ambiente, individua nella sal-vaguardia, nella tutela e nel miglioramento della qualità dell’ambiente, nella protezione della salute umana, nell’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali,  nella promozione sul piano inter-nazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici, gli obiettivi che la politica dell’Unione in materia ambientale deve contribuire a perseguire e fonda, tale politica,  sui “principi di precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga” (art. 191 T.F.U.E).
A livello internazionale, tuttavia, ora il punto di riferimento in materia è l’Agenda Globale per lo Sviluppo Sostenibile adottata dall’ONU che, dal 1 gennaio 2016 (data della sua entrata in vigore), orienta le scelte in materia di sviluppo economico e di sostenibilità per la collettività globale.
Infatti, l’attuazione a livello mondiale dei suoi 17 Obiettivi, prevista entro il 2030, è affidata all’impegno di tutti gli Stati membri, ciascuno dei quali deve adoperarsi per realizzarli sul piano nazionale. La stessa Agenda prevede un monitoraggio del processo di avvicinamento a questi Obiettivi che, attraverso un sistema di 240 indicatori forniti dalla Commissione Statistica delle Nazioni Unite, valuterà periodicamente il progresso in tal senso di ciascun Paese.
In Italia, il compito di costruire l’informazione statistica necessaria al monitoraggio dell’Agenda 2030 è affidato all’ISTAT che, dal dicembre 2016, rende disponibili, ogni sei mesi, gli indicatori che permettono di verificare il nostro posizionamento lungo la via dello sviluppo sostenibile. Per individuare le linee guida delle politiche nazionali attuative dei traguardi dell’Agenda, poi, il nostro Paese, dal 2017, ha adottato la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile – SNSvS. Il documento, elaborato dal MATTM in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e del Ministero dell’Economia e Finanze, presentato al Consiglio dei Ministri il 2 ottobre 2017, è stato approvato dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica il 22 dicembre 2017. In breve, la Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile individua, per ciascuna delle 5P indicate dall’Agenda 2030 (Persona – Pianeta – Prosperità – Pace – Partnership), le scelte strategiche da perseguire per attuare in Italia i Goals che la stessa Agenda propone. Scelte che devono trovare, necessariamente, riscontro nelle norme sul tema emanate a livello comunitario - anche l’U.E., infatti, è impegnata nel recepimento degli Obiettivi 2030 - e nei documenti della nostra programmazione economica, come ad esempio nel Documento di Economia e Finanza (DEF).
Proprio in quest’ultimo documento, fondamentale per la nostra politiche economica, dal 2017, in ba-se alla Legge n. 163 del 4 agosto 2016, sono entrati gli indicatori di Benessere Equo e Sostenibile (BES).
Così l’ISTAT, cui è affidato tale compito, calcolando anche 1. il reddito medio disponibile, 2. l’indice di diseguaglianza del reddito disponibile, 3. l’indice di povertà assoluta, 4. la speranza di vita in buona salute alla nascita,5. l’eccesso di peso, 6. l’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione, 7. il tasso di mancata partecipazione al lavoro, 8. il rapporto tra tasso di occupazione delle donne di 25-49 anni con figli in età prescolare e delle donne senza figli, 9. l’indice di criminalità predatoria, 10. l’indice di efficienza della giustizia civile, 11. l’emissione di CO2 e altri gas clima alteranti, 12. l’indice di abusivismo edilizio, fornisce dati anche sulla qualità di vita degli individui e del territorio dal punto di vista sociale ed ambientale. Dati importanti per valutare appunto il benessere delle persone e dell’ambiente, non solo dell’economia! L’analisi di questi ultimi indici, dunque, insieme a quelli forniti per il monitoraggio degli Obiettivi dell’Agenda 2030, non del tutto sovrapponibili ma certamente complementari tra di loro, danno chiare indicazioni sulle priorità e sui valori a cui, in modo urgente e improcrastinabile, l’attività economica deve mirare: un nuovo modello di sviluppo che non abbia a cuore solo la crescita del Paese, ma che assicuri la sostenibilità economica, sociale ed ambientale a livello globale.

Approfondimento tematico

Il concetto di “sviluppo sostenibile” comincia a farsi strada negli anni Settanta del secolo scorso, quando l’ambiente, fino ad allora posto sullo sfondo dello scenario economico, diventa oggetto di attenzione al fine di garantirne il rispetto e la tutela dai pericoli di un deterioramento e sfruttamento spregiudicato che il modello di produzione e di consumo delle società industrializzate causava.
Il rapido progresso tecnologico e l’esponenziale incremento produttivo sempre più generava conflitto con la natura e di conseguenza, quest’ultima cominciava ad essere vista come Ambiente, nel quale l’uomo vive e interagisce e non più come elemento subordinato alle sue attività.
Nel 1972 a Stoccolma si svolge la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano, nella quale, in maniera globale, vengono affrontati i problemi ambientali del Pianeta ed evidenziata la stretta relazione tra economia e ambiente.
Nel 1980, il Rapporto congiunto IUCN (Union International pour la Conservation de la Nature), UNEP (United Nations Environment Programme) e WWF (World Wildlife Fun) nel Documento World Conservation Strategy utilizza per la prima volta l’espressione sviluppo sostenibile.
Nel 1983 l’ONU istituisce la Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo, presieduta dalla norvegese Gro Harlem Brundtland, a cui viene affidato il compito di redigere una “agenda globale per il cambiamento” che verrà poi pubblicata nel 1987.
Ed è proprio il c.d. Rapporto Brundtland, che, concentrandosi sul legame tra soddisfacimento dei bisogni umani e responsabilità tra generazioni, formula la prima definizione di sviluppo sostenibile
“sviluppo che risponde alle necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie necessità".
Un’ulteriore definizione emerge successivamente, nel 1991, nella pubblicazione “Caring for the Earth: a Strategy for Sustainable Living” dove, sottolineandosi l’importanza del rispetto dei tempi della natura, viene inteso come
“il soddisfacimento della qualità della vita, mantenendosi entro i limiti della capacità di carico degli ecosistemi che ci sostengono”.

Seguono, a livello mondiale e a livello europeo o nazionale, altri importanti documenti ufficiali che hanno contribuito all’evoluzione del concetto di sostenibilità.
Tra questi ricordiamo:
-    la Dichiarazione di Rio e l’Agenda 21 nel 1992 con la quale la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo sancisce l’integrazione tra sviluppo ed ambiente,
-    nello stesso anno il Trattato di Maastricht recepisce per l’Unione Europea il concetto di sostenibilità ambientale,
-    nel 1993 il nostro Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica delibera il Piano nazionale per lo Sviluppo Sostenibile in attuazione dell’Agenda 21,
-    il Trattato di Amsterdam, nel 1997, innova profondamente l’approccio dell’U.E. alle politiche ambientali,
-    il Vertice Mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg nel 2002 in cui, a dieci anni dal Summit di Rio de Janeiro, vengono definiti nuovi impegni politici da parte di tutti i Paesi nel cammino verso lo sviluppo sostenibile,
-     la Conferenza ONU RIO+20, nel giugno 2012, si occupa di rinnovare l'impegno allo sviluppo sostenibile, di considerare la green economy all'interno dello sviluppo sostenibile e di formulare in modo chiaro un quadro istituzionale per lo Sviluppo Sostenibile,
-    nel dicembre 2015 la Conferenza sul Clima di Parigi (COP21), in cui viene adottato, da 195 Paesi, il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima,
-     qualche mese prima, il 25 settembre l’Assemblea Generale dell’ONU aveva adottato la risoluzione: Trasformare il nostro mondo – L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
Quest’ultimo documento, con i suoi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs), articolati in 169 traguardi, rappresenta oggi, per i 193 Stati membri dell’Onu che lo hanno sottoscritto, un ampio programma d’azione politica che mira, entro il 2030, tra l’altro, a “curare e salvaguardare il nostro pianeta”.
Nel suo preambolo, l’Agenda raggruppa i 17 Obiettivi in cinque grandi gruppi tematici: le 5P cioè
1.    Persone nel quale confluiscono i goals 1(sconfiggere la povertà), 2 (sconfiggere la fame nel mondo), 3 (buona salute), 4 (istruzione di qualità), 5 (parità di genere), 6 (acqua pulita e servizi igienico-sanitari), 10 (ridurre le disuguaglianze)
2.    Pianeta nel quale confluiscono i goals 12 (consumo responsabile), 13 (lotta contro il cambiamento climatico), 14 (flora e fauna acquatica), 15 (flora e fauna terrestre)
3.    Prosperità nel quale confluiscono i goals 7 (energia rinnovabile), 8 (buona occupazione e crescita economica), 9 (innovazione e infrastrutture), 11 (città e comunità sostenibili)
4.    Pace nel quale confluisce il goal 16 (pace e giustizia)
5.    Partnership nel quale confluisce il goal 17 (partnership per gli obiettivi).
Il percorso fin qui descritto propone, dunque, in modo ufficiale, un nuovo modello di sviluppo che, si dice, deve essere sostenibile e, per esserlo, deve declinarsi, oltre che nella sua dimensione econo-mica, anche e soprattutto nella dimensione ambientale e sociale.
Non basta, insomma, per valutare l’opportunità o meno di una scelta economica, un mero riferimento all’incidenza sul Prodotto Interno Lordo, ma risulta urgente considerare il suo impatto in tema di equità tra le generazioni, di efficacia redistributiva personale, funzionale e territoriale, di giustizia sociale e di mantenimento dell’equilibrio dell’ecosistema.
Occorre avviare un veloce cambiamento per cui lo sfruttamento delle risorse, lo sviluppo tecnologi-co, l’indirizzo degli investimenti e le decisioni politiche mirino ad una crescita che duri nel tempo te-nendo in considerazione, non solo i bisogni attuali, ma anche i bisogni futuri di tutti, pianeta com-preso.
Ecco allora imporsi il concetto di Economia Circolare definita dalla Commissione Europea "un’economia in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse viene mantenuto il più a lungo possibile e la produzione di rifiuti è ridotta al minimo".
Questa deve sostituirsi al vecchio modello economico lineare basato su produzione-consumo-smaltimento per cui ogni bene prodotto, insieme ai fattori impiegati, è destinato, dopo il suo utilizzo, a divenire rifiuto, peraltro spesso inquinante
Il nuovo modello, invece, si propone di condividere, recuperare e riciclare i materiali impiegati e i beni prodotti ed utilizzati: il “rifiuto” viene trasformato in una risorsa, materia seconda da reinserire in un nuovo circuito economico.
Si può fare ciò creando nuove tecniche produttive o migliorando quelle già in uso, imitando la bio-mimesi, cioè ispirandosi al funzionamento della natura, dove ogni elemento è inserito nel sistema e nulla viene sprecato, ma tutto viene trasformato per essere reimpiegato.
È questa la nuova blue economy che punta ad azzerare completamente i rifiuti legati al ciclo produt-tivo e ai nostri consumi.
Si va, quindi, oltre il concetto di green economy che, pur proponendo soluzioni ottimali per l’uomo e la natura, utilizza modelli produttivi e metodologie spesso costose, adatte solo alle zone più ricche del pianeta.
L’economia circolare, per contro, con il suo approccio innovativo risponde meglio alla crescente scarsità di risorse e alle emergenze climatiche e, generando valore a cascata, può favorire anche pic-cole realtà economiche.
Affinché questa transizione si attui, è necessario favorire il rapido abbandono del modello energetico fondato su fonti fossile favorendo fonti rinnovabili, rendere più efficiente la gestione delle risorse, ridurre gli sprechi mantenendo il più possibile il valore dei prodotti e dei materiali, evitare lo smalti-mento in discarica di tutto ciò che ancora possiede una qualche utilità per recuperarlo e reintrodurlo nel circuito economico.
In altre parole, è necessario ripensare i nostri modi di produzione e le nostre scelte di consumatori.
Gli imprenditori devono dimostrarsi socialmente responsabili: i valori che devono perseguire non de-vono essere vincenti solo per l’impresa, ma anche per le persone, per il territorio, per l’ambiente.
Questo implica l’uso consapevole ed efficiente delle risorse in quanto beni comuni, la capacità di sa-per trasformare un rifiuto in una risorsa e, soprattutto, il saper pensare e progettare i prodotti in mo-do che, arrivati a fine ciclo vita, possano essere facilmente riciclati e riutilizzati per altri fini.
Parallelamente, anche i consumatori, ormai pienamente consapevoli dell’emergenza climatica in cor-so, dovranno rendersi protagonisti del cambiamento, orientando i loro stili di vita e i loro acquisti verso modelli sostenibili e di comportamento circolare.
Tutto questo ci porterà sulla strada di una decrescita serena, che come teorizzato dall’economista francese Serge Latouche, potrà realizzare un nuovo equilibrio che ci renderà più ricchi non solo in termini economici, ma anche negli aspetti umani e sociali.