L’incontro con il COMITATO CITTADINO DEL RECUPERO DEL GOLFO DI PALERMO e l’incontro con il FORUM PER IL CONTRATTO DI FIUME E DI COSTA ORETO

  • Pubblicato il 16/04/2024
  • da S. V. - Palermo

L’indagine non poteva considerarsi conclusa senza aver prima incontrato due importanti stakeholders che operano sulle fasce costiere della città. Uno portatore di interessi sociali e culturali, elemento portante della coscienza cittadina dell’area della costa sud e l’altro portatore di interessi ambientali che opera occupandosi di progettualità sul bacino del Fiume Oreto, elemento strategico per la biodiversità della rete naturale della città.

Incontro con il Presidente del Comitato Cittadino per il recupero della Costa, sig. Francesco Pennino
L’incontro con il Presidente e portavoce del Comitato Cittadino per il recupero della Costa, sig. Francesco Pennino, avvenuto a Marzo, è stato molto interessante soprattutto perchè si è avuto modo di dibattere sulle differenze tra il passato e il presente del litorale costiero. Il presidente, facendo scorrere le immagini sul monitor ha fatto vedere alle due Sottocommissioni i numerosi scatti fotografici, fatti da privati, risalenti agli anni 60’-70 del secolo scorso, che ritraevano la costa palermitana oggetto di indagine bella, affollata e salubre. Foto di famiglie, di stabilimenti balneari, di ristoranti, di società sportive, di barche, di scogli, di bagnanti, di giostre e di giochi che hanno portato tutta la platea dei presenti a spasso nel tempo, ad immaginare quella costa così com’era tanti anni fa. Dalle foto e dalle descrizioni fornite dal presidente del Comitato è emerso una verità contrapposta a quella che è nell’immaginario contemporaneo e cioè un luogo di grande vitalità, pieno di attività ricreative frequentati non solo dai palermitani ma anche da molti turisti.

Dieci gli stabilimenti balneari presenti, c’era anche una cantina, e il mare rappresentava una risorsa economica di grande interesse e valore per la città di Palermo. Migliaia le persone che, a vario titolo, lavoravano all’interno della costa. Tutto questo grazie alla presenza della strada costiera (attuale Via Messina Marine) che costituiva l’unico accesso alla città via terra, provenendo da Messina o Catania.

L’incontro con il presidente del Comitato Cittadino è stato il pretesto per fare una breve indagine storica dal vivo sull’esperienza balneare lungo la costa palermitana. L’esperienza balneare palermitana fu, agli inizi, una prerogativa dell’aristocrazia. Sembra che la regina Maria Carolina, durante il suo esilio a Palermo (a causa di Napoleone) amasse fare il bagno tutti giorni in un luogo chiamato il “ bagno della regina”, presso la casina fatta costruire nella Riserva Reale dell’Arenella. Francamente non sappiamo se la notizia fosse vera ma incentivò le nobili nostrane a provare questa esperienza” peccaminosa”. Questi primi esempi diedero vita, a Palermo come altrove, agli inizi dell’Ottocento ad una forte rivoluzione di costume, che abbandonava l’idea del mare quale nemico da cui difendersi, e che vide sorgere sulla costa strutture per le nuove discipline mediche (idroterapia, talassoterapia) e le prime strutture per la balneazione. All’inizio le autorità comunali cercarono di limitare il fenomeno emanando regolamenti allo scopo di …. “tutelare la pubblica decenza “.

In un primo momento fu proibito ad esempio fare il bagno lungo la passeggiata della Marina, per tutelare i frequentatori della Strada Colonna che a partire dal ‘700 era diventata meta delle passeggiate serali estive dei palermitani. Solo dopo la seconda metà dell’Ottocento l’amministrazione palermitana comincia a preoccuparsi in maniera più diretta dei bagni pubblici e delle operazioni di bonifica della costa, con elaborazioni di vari progetti per la realizzazione di uno stabilimento balneare pubblico, che solo agli inizi del ‘900 cominciò a concretizzarsi quando una società, privata, a capitale straniero, chiese la concessione del “pantano di Mondello”. E mentre l’amministrazione pubblica studiava progetti, i privati si muovevano concretamente. Infatti, in poco tempo le iniziative private avevano avuto modo di dar vita ad una vera e propria industria balneare cittadina che al 1875 annovera ben 5 stabilimenti: Sant’Erasmo, Colonnella (Romagnolo), Sammuzzo (Piazza 13 vittime), Santa Lucia (Borgo Vecchio) e lo stabilimento dell’Acquasanta.

Già, agli inizi del ‘900 , racconta il Presidente del Comitato, il numero degli stabilimenti era notevolmente accresciuto. Limitandoci alla Costa SUD, abbiamo, in località Romagnolo gli stabilimenti Mustazzola, Virzì, lo Stabilimento bagni per i militari, il Lido Delizia della famiglia Petrucci e, alla Colonnella, lo Stabilimento balneare marino Risorgimento. Più vicino alla foce dell’Oreto c’era lo Stand Florio (o locanda del tiro al piccione) e il lido Florio. Al Foro Italico, di fronte alla Villa Giulia troviamo lo stabilimento dei fratelli Carini; che avevano un altro stabilimento presso il Castello a mare. Una guida turistica della città del 1902 elencava, tra i luoghi che il turista di “classe” doveva visitare, gli stabilimenti di mare dei Fratelli Petrucci in via Romagnolo, lo stabilimento di Emilio Pirandello e lo stabilimento di Paolo Virzì, sempre a Romagnolo.

L’arricchimento e l’accrescimento di tali strutture ebbe il suo picco negli anni ’30 quando si realizzarono, accanto agli stabilimenti balneari, rinomati ristoranti, colonie estive per bambini, strutture sanitarie elioterapiche ed assistenziali, come l’Ospedale Buccheri La Ferla, e il solarium “Vittorio Emanuele III”. Questa zona diventa una delle zone più ambite dalla borghesia e della nobiltà palermitana e della provincia. Infatti, grazie alla linea a scartamento ridotto Palermo- Corleone – San Carlo., molte famiglie dell’entroterra “scoprirono” il mare, la salubrità dall’aria marina e il piacere di un bagno. Si cominciò a chiamare la zona “la costa della salute”. Tra l’altro, grazie alle correnti, l’acqua, nonostante la vicinanza della foce dell’Oreto, era considerata molto più pulita dell’acqua di Mondello.

Ma tutto questo finì con la II guerra mondiale.

I danni dei bombardamenti “alleati” determinano perdite gravissime nel patrimonio edilizio e infrastrutturale della città. Case, palazzi nobiliari, grandi complessi religiosi, ma anche impianti elettrici, acquedotti e fognature andarono distrutti. Ancora prima della ricostruzione fu necessario allontanare le macerie. L’amministrazione comunale tramite il suo Ufficio Tecnico ne cominciò lo sgombero sistematico, provvedendo purtroppo a realizzare le discariche nella zona antistante il Foro Italico (ottemperando in questo modo ad una previsione del vecchio e famigerato Piano Giarrusso di fine Ottocento). Si dà vita in questo modo allo storico interramento del fronte a mare della città, con la cancellazione dell’immagine che dal Settecento costituiva l’identità della città che dalla strada Colonna si apriva alla passeggiata al mare. La speculazione edilizia degli anni 70’ fece tutto il resto, e così la Costa sud, in meno di 20 anni, da luogo ambito e ricercato chiamata anche la “Costa della Salute” si trasformò in un luogo degradato e abbandonato all’abusivismo.

Incontro con il FORUM per il contratto di fiume e di costa dell’Oreto
Giuseppe Castellese, Rosario Favitta, Ernesta Morabito, Francesco Liotti

Relativamente all’incontro con i rappresentanti delle varie associazioni che compongono il Forum, si è parlato dell’importanza del Fiume Oreto per la sopravvivenza degli habitat costieri, dei processi di degrado in atto, del cambiamento ambientale e paesaggistico del bacino fluviale, dei mulini e dell’uso delle acque del fiume. L’area della foce del fiume, viene ricordato dal Forum, è stata utilizzata negli anni come discarica di inerti già a partire dal secondo dopoguerra, determinando un consistente avanzamento della linea di costa che negli ultimi 20 anni circa è arretrata per l’azione erosiva del mare. Si tratta di un’area in gran parte inutilizzata e in stato di semiabbandono in cui i rifiuti affiorano dal terreno. Un altro problema è quello del rischio idrogeologico, tipico delle zone limitrofe alla foce dei fiumi.

Oltre agli aspetti legati all’inquinamento fluviale, l’incontro è servito anche per illustrare l’identità storica di questo fiume. Una volta, il fiume Oreto era il vanto della rigogliosa area verde dentro la quale serpeggiava. Viaggiatori e geografi decantavano entusiasti le qualità dell’ambiente naturale che costituiva la sua valle. Le acque dovevano essere abbondanti tanto da essere navigabili dal momento che si narra di una battaglia navale avvenuta nei pressi del ponte Corleone e se il ponte Ammiraglio doveva essere dotato di ben undici arcate per contenerlo completamente.

Un fiume pescoso per l’abbondanza di fauna acquatica: anguille, tinche e addirittura storioni. La vegetazione naturale ricchissima e varia univa la classica macchia mediterranea a foreste così ampie da essere scelte come parco di caccia dei sovrani normanni: il cosiddetto Genoardo. Era senza ombra di dubbio un luogo delizioso come riportano i suoi estimatori del passato!
Il fiume Oreto sin dal principio fu importante anche per le attività collaterali che sfruttavano le sue acque: irrigazione dei terreni agricoli, cartiere, mulini. Al tempo degli arabi fu impiantato un grande giardino di palme da dattero, dalla Guadagna a San Giovanni dei Lebbrosi e più tardi nei terreni limitrofi al fiume per un certo periodo venne coltivata la canna da zucchero, la cui produzione richiedeva un clima temperato e numerose irrigazioni. Per questo la zona dell’Oreto fu scelta dai nobili palermitani che si dedicarono alla coltivazione delle canne e all’estrazione dello zucchero, attività molto redditizia a quel tempo. I mulini per la frantumazione delle canne sorsero alimentate dalle acque del fiume ma di contro la sua raffinazione, che richiedeva enormi quantità di legna da ardere, provocò il disboscamento selvaggio delle montagne limitrofe.
Dopo il 1600, la concorrenza dei portoghesi con le piantagioni atlantiche, mise in crisi l’industria della cannamela siciliana e i terreni furono riconvertiti prima a vigneti, dalla metà dell’Ottocento ad agrumeti e ultimamente a coltivazione orticole.

Oggi il fiume Oreto è sparito, diventato letteralmente inaccessibile, sbarrato da muri, recinzioni e catapecchie costruite lungo le sue sponde. In molti tratti per di più, è ridotto ad un torrente maleodorante per il degrado, l’abbandono e gli innumerevoli scarichi fognari e liquami che col passare del tempo, hanno “ucciso” la fauna e la vegetazione…..il fiume stesso! E infine, in molti tratti, le grandi colate di cemento che avrebbero dovuto salvaguardare il salvabile hanno tolto ogni residuo di fascino al corso dell’acqua.

Per i diari consultare il seguente link:
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