I RISULTATI DELL’INDAGINE PRELIMINARE – I LAVORI DELLA SECONDA SOTTOCOMMISSIONE - Territorio, Urbanistica e Infrastrutture

  • Pubblicato il 16/04/2024
  • da S. V. - Palermo

Processo di trasformazione del territorio e del paesaggio urbano con ricerca sulla superfice originariamente agricola e naturale – ricerca iconografica

La campagna nel secondo dopoguerra è stata gradualmente inghiottita da una colata inarrestabile di cemento, devastata dall’edificazione selvaggia e scriteriata, privata della sua antica bellezza e del profumo di zagara dei suoi agrumeti. Il primo attacco al territorio, determinato dalla necessità di garantire alloggi, è stato con la creazione di quartieri residenziali, con aree PEEP (Piani per l’Edilizia Economica e Popolare), infine con programmi costruttivi per la realizzazione di alloggi di edilizia popolare e lottizzazioni, in deroga allo strumento urbanistico vigente (PRG del 1962), a scapito delle aree destinate a verde agricolo della Conca d’oro. Nel dopoguerra il territorio urbanizzato era pari a 600 ettari su una superficie di 11.000 ettari (il 5%); nel 2006 era pari a 7.000 ettari (il 70%); infine secondo studi recenti, oggi il consumo complessivo del territorio supererebbe l’80%.

Dalla ricerca iconografica si evince chiaramente che fino agli anni 60’ del secolo scorso la città vive un rapporto simbiotico con la costa e con il mare, mentre negli anni a seguire l’area urbanizzata di Palermo si amplia da 600 a 5000 ettari e questo porta il capoluogo siciliano ad essere la città italiana con più vani inabitati in relazione a quelli edificati. Questa espansione ha registrato una progressiva riduzione delle aree verdi e ha modificato nel tempo la percezione dell’ambiente naturale, così come si evince chiaramente nella pittura dei paesaggisti del XIX sec.

Secondo i dati Istat del report Ambiente da poco pubblicato, nel 2021 a Palermo erano disponibili meno di 15 metri quadrati di verde urbano per abitante, numeri disastrosi e preoccupanti, rispetto alla media nazionale, che supera i 30 mq per abitante. Nei primi decenni del Novecento invece il rapporto era totalmente inverso e la sterminata distesa di quasi 100 chilometri quadrati chiamata Conca d’Oro, era ancora popolata quasi esclusivamente da aranci, ulivi, mandorli, yucche e palme. Il litorale costiero era utilizzato come lido balneare dai palermitani e dopo la Seconda guerra mondiale, iniziò quasi immediatamente la fase del declino. Già nel 1971 la costa palermitana da Vergine Maria ad Acqua dei Corsari era definita come inquinata per la presenza dei nuovi quartieri di case popolari (e la compromissione dei terreni agricoli), e con le discariche di sfabbricidi e dei materiali più diversi che solo negli anni ’90 si è provveduto definitivamente a proibire.

Dati sull’analisi di fascia costiera fino a una profondità di 300 m dalla battigia
633 ettari analizzati di cui
310,78 ettari edificati,
134,81 ettari destinati a verde incolto o abbandonato,
57,25 ettari la superficie occupata da industrie, siti artigianali e servizi commerciali,
41,7 ettari occupati dai servizi portuali
15,66 ettari da edifici decadenti e dismessi

Percezione e visibilità urbana del mare
La costa palermitana si sviluppa per circa 30 Km lineari. I circa 10 Km lineari della costa sud-orientale di Palermo sono caratterizzati da una bassa linea di costa formata quasi esclusivamente da sabbie e ghiaie. La linea di costa risulta avanzata di diverse decine di metri rispetto alle antiche rive, prevalentemente rocciose, e l’urbanizzazione dell’area ha creato una barriera alla visibilità costiera dalla città. La costa Nord di Palermo subisce lo stesso trattamento della costa Sud. Le discariche costiere, chiuse ufficialmente nel 1979, continueranno in seguito ad essere adoperate a causa dello scarso controllo. Dall’analisi della visibilità costiera su un campione di circa 19 Km di costa, solo 4,3 km (corrispondente a circa il 23% dell’intero percorso), concede la possibilità di vedere il mare. Le principali cause di non visibilità sono dovute all’occupazione della fascia costiera da edifici residenziali plurifamiliari, villette, attività commerciali, fabbriche, industrie, locali a carattere stagionale e annuali, barriere naturali fisiche.

Legge Urbanistica regionale nr. 71/78 e nr. 78/76 - Disamina delle principali norme urbanistiche in Sicilia
La legge regionale n.71/78 è stata approvata al fine di recepire le leggi statali n. 10 del 1977, cioè la legge Bucalossi sulla edificabilità dei suoli, e la legge statale n. 457 del 1978, piano decennale di edilizia residenziale pubblica. Ma in concreto ha disciplinato anche istituti contemplati dalla legge urbanistica del 1942 come modificata ed integrata dalla legge ponte n. 765 del 1967. Con la legge n.71/78 veniva disciplinata in primo luogo la materia della pianificazione urbanistica introducendo le prescrizioni esecutive che devono essere inserite nei PRG. Inoltre, la legge contiene le “Norme regolatrici dell’attività edilizia”. Anche a tale riguardo lo schema seguito è quello della legislazione statale. Si prevede il regime della concessione, si disciplina la convenzione tipo, si disciplinano gli oneri di urbanizzazione. La stessa legge poi disciplina il sistema sanzionatorio. Al riguardo furono previste norme che si discostavano effettivamente dalla legislazione statale, che però successivamente sono state abrogate.
Oltre agli aspetti sopra elencati, la Legge introdusse l’obbligo per i Comuni di dotarsi di Piani di edilizia Economica e popolare con abitanti superiori a 15 mila, introdusse anche la possibilità di edificare nelle zone destinate a verde agricolo dei PRG manufatti edilizi destinati alla lavorazione o trasformazione di prodotti agricoli o zootecnici locali ovvero allo sfruttamento a carattere artigianale di "risorse naturali locali’’. Con l’art. 37 la legge introdusse il Controllo partecipativo, cioè la possibilità a chiunque di prendere visione presso gli uffici comunali delle domande e delle concessioni edilizie.
L’aspetto interessante per la nostra trattazione arriva con il Titolo V che riguarda i centri Storici e Tutela dell’Ambiente. Con l’art. 15, lett. a), L.R. Sicilia 12 giugno 1976, n. 78 si prevede che “Ai fini della formazione degli strumenti urbanistici generali comunali debbono osservarsi, in tutte le zone omogenee ad eccezione delle zone A e B, in aggiunta alle disposizioni vigenti, le seguenti prescrizioni: a) le costruzioni debbono arretrarsi di metri 150 dalla battigia; entro detta fascia sono consentite opere ed impianti destinati alla diretta fruizione del mare, nonché la ristrutturazione degli edifici esistenti senza alterazione dei volumi già realizzati”. Il vincolo di inedificabilità previsto dall’art. 15 della l.r. 78/1976, rende insanabile qualsiasi abuso, “ad eccezione delle opere iniziate prima dell’entrata in vigore della medesima legge e le cui strutture essenziali siano state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976” (art. 23, comma 11 legge reg. n. 37/1985).

Dinamiche socioeconomiche-antropologiche che spingono verso il consumo di suolo costiero
Il Rapporto “Il consumo di suolo in Italia 2023”, pubblicato dall’ISPRA, illustra le nuove stime sul suolo consumato per tutti i comuni italiani. Ad accompagnare il Rapporto anche il primo Atlante del consumo di suolo che riunisce le nuove mappe dettagliate del fenomeno a livello nazionale e locale. Il consumo di suolo continua a trasformare il territorio nazionale. Al 2022 la copertura artificiale si estende per oltre 21.500 km2, il 7,14% del suolo italiano (7,25% al netto di fiumi e laghi). I cambiamenti dell’ultimo anno si concentrano in alcune aree del Paese: nella pianura Padana, nella parte lombarda e veneta e lungo la direttrice della via Emilia, tutta la costa adriatica, in particolare in alcuni tratti del litorale romagnolo, marchigiano e pugliese.
La perdita di suolo e di tutti i servizi ecosistemici che fornisce, compresa la capacità di assorbire l’acqua, non conosce battute d’arresto: il 13% del consumo di suolo totale (circa 900 ettari) ricade nelle aree a pericolosità idraulica media, dove il 9,3% di territorio è ormai impermeabilizzato, un valore sensibilmente superiore alla media nazionale (con un aumento medio percentuale dello 0,33%). Considerando il consumo di suolo totale dell’ultimo anno, più del 35% (oltre 2.500 ettari) si trova poi in aree a pericolosità sismica alta o molta alta. Infine, il 7,5% (quasi 530 ettari) è nelle aree a pericolosità da frana.
Secondo le fonti ISPRA, il monitoraggio di quest’anno conferma la criticità del consumo di suolo nelle zone periurbane e urbane, in cui si rileva un continuo e significativo incremento delle superfici artificiali, con un aumento della densità del costruito a scapito delle aree agricole e naturali, unitamente alla criticità delle aree nell’intorno del sistema infrastrutturale, più frammentate e oggetto di interventi di artificializzazione a causa della loro maggiore accessibilità e anche per la crescente pressione dovuta alla richiesta di spazi sempre più ampi per la logistica. I dati confermano l’avanzare di fenomeni quali la diffusione, la dispersione, la decentralizzazione urbana da un lato e, dall’altro, la forte spinta alla densificazione di aree urbane, che causa la perdita di superfici naturali all’interno delle nostre città, superfici preziose per assicurare l’adattamento ai cambiamenti climatici in atto. Tali processi riguardano soprattutto le aree costiere e le aree di pianura, mentre al contempo, soprattutto in aree marginali, si assiste all’abbandono delle terre e alla frammentazione delle aree naturali.
Gli ultimi dati ci mostrano che, purtroppo, il consumo di suolo, non solo da due anni non rallenta più, ma nel 2022 accelera bruscamente e torna a correre a ritmi che, in Italia, non si vedevano da più di 10 anni. I fenomeni di trasformazione del territorio agricolo e naturale in aree artificiali hanno così sfiorato i 2,5 metri quadrati al secondo e riguardato quasi 77 chilometri quadrati in un solo anno, il 10% in più rispetto al 2021. Si tratta certamente di un ritmo non sostenibile, che dipende anche dall’assenza di interventi normativi efficaci in buona parte del Paese o dell’attesa della loro attuazione e della definizione di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale.
I dati sulle aree edificate sono stati incrociati con i dati Istat relativi alle caratteristiche degli edifici. Dall’analisi risultano, a livello nazionale, circa 249 kmq di edifici non utilizzati. A livello regionale, Lombardia e Sicilia presentano la superficie più estesa di edifici abbandonati con più di 28 kmq. Analizzando le percentuali sul totale degli edifici, le stesse due Regioni presentano valori molto diversi, la Lombardia ha il 3,5% di edifici inutilizzati mentre la percentuale della Sicilia è pari al 7,6%. La media nazionale è del 5,2%.
A livello nazionale oltre il 51% degli edifici ad uso residenziale è in buono stato, equivalente a una superficie di circa 2.250 kmq, 1.510 kmq (31,8%) sono coperti da abitazioni in ottimo stato, 627 kmq (15,2%) di edifici residenziali sono in uno stato mediocre e circa 68 kmq (1,7%) di edifici ad uso residenziale versano in pessimo stato. Per quanto riguarda gli edifici in pessimo stato di conservazione, il record negativo è detenuto dalla Sicilia, per quanto riguarda il numero di ettari (941 ha), la percentuale è del 3%.
Analizzando le diverse fasce urbane (centrale, semicentrale, periferica e suburbana), si può osservare che la maggiore consistenza di nuovi edifici residenziali ricade nella fascia urbana periferica per tutti gli intervalli di valore immobiliare, con concentrazione nell’intervallo di prezzi intermedio (tra 1.000 e 1.500 €/mq, 40 ettari) e minore (meno di 1.000 €/mq, 29 ettari). Anche nella fascia urbana centrale si osservano valori alti, soprattutto nella fascia di prezzo intermedio, tra 1.000 e 1.500 €/mq, dove sono stati costruiti 48 ettari di nuovi edifici. La concentrazione di nuovi edifici residenziali nelle fasce centrali con valori economici minori, sono influenzati dalla presenza di un numero consistente di comuni piccoli, caratterizzati da poche zone OMI.

Il processo di trasformazione territoriale continua a causare la perdita di una risorsa fondamentale come il suolo. Tra le cause principali, la cementificazione della superficie, e in particolare la costruzione di nuovi edifici, infrastrutture, insediamenti commerciali, logistici, produttivi e di servizio. I terreni su cui si concentrano i maggiori interessi sono quelli più accessibili (fascia costiera, pianure e fondi valle) e le aree a vocazione agricola, in prossimità della frangia urbana. È bene inoltre precisare che il consumo di suolo risulta spesso slegato dalle dinamiche demografiche. Assistiamo, infatti, ad una crescita delle superfici artificiali anche in presenza di una stabilizzazione o in molti casi decrescita della popolazione residente.

All’incremento di nuove residenze nelle fasce costiere e nelle aree di prima periferia, corrisponde in Sicilia l’aumento di immobili che non ricevono manutenzione soprattutto nelle aree urbane, il che lascia intendere che la popolazione residente tende a muoversi dalla città verso la periferia e soprattutto verso aree costiere.

Soluzioni progettuali per la riqualificazione costiera oggi in atto.
Il Comune di Palermo si sta adoperando con i fondi del PNRR per la riqualificazione di Via Messina Marine, con l’attuazione di interventi come di seguito elencati:
- Allargamento della asse stradale, sistemazione dei marciapiedi e realizzazione del percorso ciclabile lungo via Messina Marine;
- Realizzazione di aree museali e aree ristoro;
- Realizzazione delle opere di difesa costiera;
- Sistemazione del parco e realizzazione della pista ciclopedonale di lungo-costa;
- Riqualificazione del Porto della Bandita;
- Interventi per la fruizione sicura e sostenibile della foce e della costa del fiume Oreto;
- Recupero dell’approdo storico della Tonnara Bordonaro a Vergine Maria.

Per i diari consultare il seguente link:
https://drive.google.com/drive/folders/1oaYYJJDZFku0SP0X5zobVwL9RrhpfImm?usp=sharing